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Piccola Grande Italia approda nel Comune di Troina

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La città di Troina, arroccata a 1120 metri di quota, a cavallo tra i due monti Muganà e san Pantheon, domina dall’alto un vastissimo territorio da dove si possono godere splendidi panorami delle provincie di Enna, Catania, Messina, Siracusa e Palermo.

L’origine di Troina si confonde coi tempi favolosi; alcuni credono che derivi da Imachera, antichissima città fabbricata – a sud dell’attuale centro – dai Giganti, i quali cavavano rocce e sovrapponevano grosse pietre per farvi stanze.

Omofone, nel suo De origine habitantium Sycaniae, dice che “fecerunt de nudis lapidibus antra” ( realizzarono antri dalle nude pietre)E gli antri e le caverne artificiosamente scavate nelle nude pietre, che tuttora si osservano intorno al paese, e precisamente alla Pusterna, Muanà, e Rena, sarebbero prova tangibile di ciò.

I ruderi dell’antico castello, che esistono ancora in sostegno dell’ odierno ospedale, somiglianti alle cosiddette costruzioni cicloniche, fatto di grossi macigni parallelepipedi sovrapposti gli uni sugli altri senz’ombra di calce, “furono fabbriche – asserisce Giuseppe Ebbreo nel De antiquit Iudaicis, lib. I – nientemeno che dei giganti figli di Tita, moglie di Noè, detti Titani”.

Un’enorme costola, che ancora si conserva nella Madrechiesa, ed un teschio gigantesco, pure rinvenuto a Troina,  davanti la fabbrica dell’antico Castello, attestano – dice Diodoro Siculo – che i primi abitatori di essa dovettero essere i giganti.

La città di Imachera, come afferma Paolo Diacono, fu incendiata e distrutta dai Saraceni, i quali talora distruggevano i paesi cambiandone anche il nome; e Giovanni Curopolates aggiunge che ” La parte inferiore della città chiamavasi Imachera Troina o Trajanopoli  l’antico castello a settentrione”: testimonianze, queste, che andrebbero a convalidare l’ipotesi dell’identificazione dell’attuale Troina con l’antica Imachera, città greca, ai tempi dei saraceni, dotata di proprie medaglie e proprie monete.

In un manoscritto anonimo del 1714, intitolato Memorie antiche della vetustissima città di Troina, che è stato cavato, dice l’anonimo, “da una scrittura antica,lacera e strutta”, si trova un’altra congettura: si ritiene che i troiani, condotti da Enea, prima d’approdare nel Lazio, abbiano preso qui dimora e, in memoria, della distrutta Troia, abbiano dato il nome Troina all’antica Imachera. E in seguito assolutamente sostiene che questa città fu prima abitata dai giganti, quindi dai Lestrigoni e dai Lotofagi; poi dai Fenici, dai Siculi e, finalmente, dai Greci condotti forse da Arcia, fuggito da Corinto; questi Greci, perdendo nelle invasioni cartaginesi, calcidesi, romane e normanne, si rifugiarono nelle grotte silvestri, fino a che si ridussero a rito latino l’anno volgare 1274.

Sotto la dominazione romana, Troina ebbe una notevole espansione e conobbe una grande floridezza; durante il dominio Bizantino, si diffuse il monachesimo che avrà una notevole influenza nella storia della città; nell’anno 1061, Ruggero I la elesse Capitale del Principato normanno e Troina fu quasi sempre Città Regia. Nei libri regi, Troina è detta Civitas vetustissima, ed essa fu la base militare più importante per la conquista normanna dell’isola.

Molti e diversi sono stati i nomi dati in ogni tempo dagli autori a questa città: Troyna si trova scritto nei privilegi del Re Ruggero,  nel 1141, e del Conte suo padre, nel 1082; Trahina dal Fazello; Trahyna dal Carafa; Civitas Trajnensis dai privilegi del Conte Ruggiero; Urbis Trainica dal Malaterra; Drajna dagli atti greci manoscritti di S. Silvestro monaco; Dragina Tragina da Cedreno.

Vero simbolo della città nonchè testimonianza della sua vetusta importanza, è il Castello che sorgeva sulla cresta del monte, a 1120 metri sul livello del mare, e si estendeva dall’odierno ospedale, dove esistono ancora gli antichi ruderi, sino alla chiesa detta “Nome di Gesù”, cioè occupava tutto lo spartiacqua del monte medesimo, oggi coperto di case. Aveva tre inespugnabili torri e ne erano baluardo fortissime mura che, al tempo dei Saraceni, si aprivano a quattro punti detti: porta di Baglio o Bajuolo, ufficiale saraceno a cui era affidata detta porta n tempo guerra come la porta più importante; porta del Guardiano; porta Canonite o di S. Nicolò;  porta di Ram, parola araba che significa rivolo o sorgente d’acqua; e siccome per questa porta andavano ad attingere al ram inferiore, dov’è l’attuale abbeveratoio, ed a quello superiore (Ramosuso), dov’è una piccola fontana, si crede che 1’abbiano perciò chiamata porta di Ram, nome che è mantenuto ancora da quel gruppo di case verso ponente, detto Ramosuso.

I Saraceni, durante la loro terza venuta in Sicilia nell’ 878, vinti i Greci, si fortificarono meglio nel detto Castello imacherese chiamato Troina, donde poi, nel 1061, furono cacciati dal Conte Ruggero, il quale non potendo vincere con la forza, ricorse all’inganno.

I barbari, infatti, minacciavano di resistere a lungo perché il Castello era inespugnabile; Ruggero, che aveva fatto inutilmente diversi tentativi di assalto e se ne stava  vigile con i suoi nelle adiacenti foreste, seppe che il castello veniva rifornito di farina ed altri viveri da un certo mugnaio che, in compagnia di un grosso cane, vi andava di notte, entrando  per porta di Baglio. Il Conte, avendolo fatto chiamare ed essendosi accordato con lui, lo seguì con fieri e taciturni soldati, in una tenebrosa notte; il mugnaio giunse alla porta, bussò e fece abbaiare il cane, come era stato stabilito dai saraceni per il riconoscimento; non appena la porta fu aperta, irruppero come un impetuoso torrente, i Normanni che, gridando, inseguirono gli spaventati Saraceni, facendone strage e liberando, così, Troina. Questo castello piacque tanto a Ruggero che lo scelse per sua dimora, fortificandolo a tal punto da renderlo il luogo più difeso dell’isola, sicchè esso fu, per più di 30 anni, il “nido preferito dell’aquila normanna”.

A confermare l’inespugnabilità del castello è il frammento di una ntrallazzata  o jocu popolare, che dimostra come, anche presso la popolazione, esso fosse considerato simbolo della forza della città:

Stu casteddu Machera, atturniatu
Di mura, di dirupi e di fussati,
Difficile assai d’essiri espugnatu
Da qualunque nimicu e da srudati,
Era cu quattru porti architettatu;
Ben disposti li turri e ben furmati;
Di machini di guerra ben armatu,
Lu primu tra casteddi cchiù vantatu.

fonte: www.comune.troina.en.it

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